Stemma Faenza Lirica - RECENSIONI
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Da La Repubblica del 14.01.2008 -  R2 Spettacoli,   pag. 43

Orfeo deve morire. Ma perché?


MICHELANGELO ZURLETTI

Il Comunale di Bologna propone Orfeo e Euridice di Gluck nella versione francese (1774) aggiornata ai nostri giorni dai fratelli Alagna (David regista e Frédérico scenografo). Non è questo il guaio: il bellissimo mito ne ha viste di tutti i colori. L'opera no, per quanto ci consta, è stata aggiornata solo da Harry Kupfer in un allestimento rock londinese. Ci saranno stati altri aggiornamenti nelle solite discariche o fabbriche dismesse ma non ne abbiamo notizia. Soprattutto non risulta che nessuno abbia messo mano al libretto di Calzabigi e perfino alla musica di Gluck.
Entriamo allora in un luogo orribile dove tutti vivono con cappotto lungo, cappello e occhiali neri. C'è un prologo (non scritto da Gluck) ricavato da pagine sinfoniche dell'opera in cui vediamo il matrimonio tra Orfeo e Euridice, la festa e il ballo nuziale e poi un incidente d'auto nel quale Euridice perde la vita mentre Orfeo se la cava. Poi comincia l'orgia dei beccamorti col furgone onnipresente. I campi elisi sono una montagna di ghiaccio sulla quale pendono parecchi estinti ibernati. E come scrive un prologo Alagna scrive un finale, non più lieto come voleva Gluck ma tragico, in cui Orfeo muore con la sposa.
Anche le voci sono maltrattate: Orfeo ritorna tenore come a Parigi, Euridice da lirico diventa soprano leggero, Amore da soprano leggero diventa baritono, il capo dei becchini. Il che vuol dire trasportare tonalmente quasi tutta l'opera. Lo scempio è completato da enormi tagli. Peccato, perché l'esecuzione musicale è buona, con un direttore come Giampaolo Bisanti misurato e preciso, un eccellente Orfeo in John Osborn, un'ottima Euridice in Daria Masiero e un ottimo becchino in Gezim Myshketa. Buona l'orchestra e il coro. Che occasione perduta.


Da La Repubblica del 11.01.2008 -  Cronaca Bologna,   pag. XIII

Orphee et Eurydice
IL MITO IN SCENA Una scena dell'Orphée et Eurydice nell'allestimento dei fratelli Alagna
che ha portato l'opera ai giorni nostri facendo morire Euridice in un incidente



"Benvenga lo scandalo Alagna se appassiona e fa discutere"
Dopo il contestato debutto di "Orphée et Eurydice" i pareri di soci e consiglieri
È stata una scossa positiva alla noia, peccato però per il cattivo gusto...


BRUNELLA TORRESIN

PIUTTOSTO imprevedibilmente il Teatro Comunale di Bologna non fa parlar di sé a causa dei suoi debiti, né per un'agitazione sindacale e nemmeno per un sovrintendente che va e un altro che arriva, cose che appassionano, ma fino a un certo punto. No: fa parlare di sé per uno spettacolo, e per le reazioni accese che ha provocato. Orphée et Eurydice di Gluck, per giunta, non Traviata né Turandot, opera di rarissima esecuzione nella versione francese del 1774, ma qui affidata a tre fratelli, Roberto, David e Frédèrico Alagna, di grande mestiere e vocazione spiccatamente mediatica. Si scopre così che: a) alle Prime d'opera, per la maggior parte dei casi, ci si annoia mortalmente; b) nella lirica il «cattivo gusto» è ancora una categoria di giudizio estetico, nella duplice collocazione contestuale del senso del pudore e dello scongiuro apotropaico; c) sarebbe ora che il pubblico ringiovanisse; d) ma senza esagerare.
Di «cattivo gusto» parla Fabio Roversi Monaco, presidente della Fondazione Carisbo e in quanto tale principale sostenitore privato del Teatro: «L'ho trovato uno spettacolo con profili complessivamente buoni, collegati alle voci, e profili di cattivo gusto, collegati alle scelte registiche - spiega -, in particolare nelle scene della discesa agli inferi». È negli inferi che David Alagna ha trasposto la gelida disperazione di un obitorio e macabre atmosfere gotiche, ed è lì che, sempre secondo il regista, quella sciocchina di Euridice, come dopo una serata ad alto tasso alcolico, perde la testa e si concede al baritono Morte provocando la reazione di Orfeo. Per Giorgio Forni, vice presidente della Fondazione, viceversa, «Orphée et Eurydice è, sul piano formale, uno spettacolo bello che piacerà molto al pubblico, ed è un bene che faccia discutere». Però aggiunge anche - «da appassionato» - che sul piano della cultura musicale lo considera «un'occasione sprecata»: perché Roberto Alagna ha cantato bene, ma in un ruolo che non gli si confà, e perché il pubblico non ha potuto ascoltare un grande tenore al meglio delle sue potenzialità né conoscere nella sua integrità un'opera che costituisce un caposaldo della letteratura musicale.
Giancarlo Giusti, che siede anch'egli in consiglio d'amministrazione, su posizioni più conservatrici, confessa un po' a sorpresa di giudicare lo spettacolo «divertente e ben cantato», ma si rammarica anche, al contrario di Giorgio Forni, che «il pubblico di Bologna non sappia recepire questi esperimenti». E difatti una parte d'esso ha fischiato. Alla domanda: dipendesse da voi, lo rifareste? le risposte oscillano un poco ma poi imboccano la via affermativa. Sì, lo rifarebbero. Bene ha fatto il Teatro, e dunque il suo sovrintendete direttore Marco Tutino a proporre quest'Orphée et Eurydice così tragico e sventato. «Se non aggiorniamo un po' gli spettacoli, non combiniamo niente», spiega Giancarlo Giusti. «Scelta del tutto legittima», rincalza il vice presidente Forni, «e opportuna: alla fine, ben venga una sana polemica perché la noia del pubblico s'è finalmente scossa». Discutere, stroncare o acclamare «rivitalizza l'interesse per il teatro d'opera, e sono certo che molte persone ne saranno incuriosite e vorranno giudicare con i propri occhi e la propria sensibilità». Ma non può non confessare che quest'Orfeo, «per tanti aspetti condivisibile», non lo è per tutti. Ahinoi, «quel che abbiamo visto e ascoltato non è l'Orphée et Eurydice di Gluck, versione francese. E questo mi dispiace, perché è come se l'allestimento avesse declassato l'opera a colonna sonora di un bello spettacolo, che avrà successo e piacerà, ma costituisce un'occasione perduta». E forse sospira, Giorgio Forni, dentro di sé, mentre soccorrono inesorabili le conclusioni di Giancarlo Giusti: «La famiglia Alagna è quella. Prendere o lasciare».


Da La Repubblica del 10.01.2008 -  Cronaca Bologna,   pag. VII

Orphee et Eurydice
una scena dell'opera



LA RECENSIONE
Se la morte è più forte della favola
Regia suggestiva e coerente


FABRIZIO FESTA

Questo "Orphée et Eurydice" ha, infatti, l'indubbio merito di aver rammentato a quel pubblico (le recite nelle repliche hanno un andamento spesso totalmente diverso) che, se Bologna vuol primeggiare tra le capitali planetarie della musica, il suo più importante palcoscenico non può essere né un sacrario né un museo. Tanto più che l'operazione di David Alagna - rimaneggiare la partitura, riscrivere la drammaturgia, cambiare il finale - è nel solco della grande tradizione teatrale, quella vera, nella quale tali procedure sono la norma e non l'eccezione. Pensare che rimaneggiare una partitura sia come rompere una statua, o tagliare a pezzi un quadro, significa non avere nozione alcuna della natura della musica, e del come la musica trovi pratica applicazione. Le partiture non sono opere d'arte: l'opera d'arte s'invera nella messa in scena, nell'esecuzione. Che è figlia dei suoi tempi. Così bene ha fatto David Alagna a ricondurre Orfeo alla tragicità del mito, privandolo di una convenzione, l'happy end encomiastico legato alla committenza, che ne impoveriva il significato. I simboli del mito sono carne e sangue. La morte e l'amore oggi purtroppo hanno la forma di un'auto accartocciata e del ripetersi rituale degli stessi funerali di giovani vite stroncate. Alagna ci ha costretto a pensare che un segno dei tempi è l'impossibilità della consolazione, testimoniata dalla morte di Orfeo. Per questo possiamo perdonargli qualche ingenuità, nel mentre siamo certi che il fratello tenore, Roberto, avrà modo nelle repliche di prendere meglio le misure di una parte, quella di Orfeo appunto, così impegnativa. Tanto più che al suo fianco c'è un solido Marc Barrard (nei panni della guida) e Serena Gamberoni (Euridice) ha meritato i caldi applausi della Sala del Bibiena. Qualche rischio in più avrebbe potuto correrlo Giampaolo Bisanti, al suo debutto sul podio bolognese, tanto più che l'Orchestra del Teatro Comunale ha risposto bene confermando capacità e potenzialità, che attendono solo di essere messe a frutto.


Da La Repubblica del 10.01.2008 -  Cronaca Bologna,   pag. VII

Orphee et Eurydice
Roberto Alagna e Serena Gamberoni



LA DIFESA
"Ma Gluck sarebbe soddisfatto"
Il sovrintendente Tutino: "Un'accoglienza del genere significa che l'opera c'è"
"Se è una questione di cattivo gusto non si discute. è piaciuto ai giovani non agli anziani"


FRANCESCA PARISINI

«Se io fossi stato l'autore, sarei contento. Anzi, secondo me Gluck è soddisfatto della serata». Così commenta il sovrintendente Tutino la 'prima' di «Orphée et Eurydice». «Alla luce di come è andata, è ovvio che sono doppiamente dispiaciuto - confessa - . Un'accoglienza del genere significa che l'opera c'è, non è data per scontata». Dopo la contestata messa in scena con una star come Roberto Alagna, sotto la regia del fratello David intervenuto pesantemente sia sull'intreccio che sulla musica, in teatro sono però tutti contenti. A cominciare da Giampaolo Bisanti, per la prima volta sul podio del Comunale. «Dal punto di visita musicale ho avuto solo consensi ed apprezzamenti», dice difendendo il lavoro di David Alagna. «Anche Berlioz aveva fatto molti riadattamenti di quest'opera. A una parte del pubblico bolognese è proprio questo che non è andato giù, l'avere messo mano alla musica di Gluck. Lo spettacolo ha un filone logico tuttavia lo choc, per alcuni, è stato l'allestimento, che non può lasciare indifferenti». «Se ne facciamo una questione di 'cattivo gusto' è difficile discutere - incalza Tutino - . Il pubblico giovane in generale ha gradito, quello più anziano meno. Questo ci deve fare riflettere, perché il nostro sforzo deve essere il dialogo con le nuove generazioni». Nei panni di sovrintendente, Tutino ribadisce il compiacimento per la serata espresso come compositore. «Non facciamo spettacoli dal vivo per rassicurare, bensì per produrre dibattito. I dissensi fanno parte del gioco». «Il mio compito è garantire che gli spettacoli rispettino un livello qualitativo», aggiunge lui, che è anche direttore artistico. E di questo «Orphée et Eurydice» ha apprezzato la messa in scena «chiara, conseguente, con una linea». Anche per la voce di Roberto Alagna ci sono stati fischi; qualcuno ha insinuato che gli applausi più calorosi venissero da una claque. Sulla maldicenza Tutino glissa e, ricordando l'episodio alla Scala di Milano nel dicembre 2006, quando lasciò a metà uno spettacolo in polemica con chi dal loggione lo contestava, afferma: «Non è bizzoso; giustamente pretende, come tutte le persone esposte, che il teatro che gli sta alle spalle sia in grado di risolvere ogni possibile problema».


Da La Repubblica del 10.01.2008 -  Cronaca Bologna,   pag. VII

Orphée et Eurydice


Orfeo all'obitorio, il loggione insorge

FABRIZIO FESTA

«Orphée et Eurydice», il nuovo allestimento dell'opera di Gluck andato in scena l'altra sera al Comunale, ha diviso il pubblico e gli animi. E l'ha fatto fin dalle prime scene dello spettacolo curato dai fratelli Alagna, David e Frédèrico dietro le quinte e Roberto in palcoscenico, protagonista. Alla fine, quando il sipario cala sul compianto di Orfeo, morto per amore di quella Euridice che non è riuscito a trarre dagli inferi, due terzi degli spettatori della prima (soprattutto la platea) applaudono, e convinti. Dai palchi invece, specie dagli ordini più in alto, arriva qualche boato di disapprovazione, che s'immagina già essere soprattutto all'indirizzo del regista David Alagna. Sfilano poi uno per uno i protagonisti: applausi più o meno sonanti per tutti, ed anche per Roberto Alagna infine, tenore lirico molto atteso alla prova in un ruolo non consueto. Quando, invece, esce David, che con Frédèrico ha firmato regia e scene, la contestazione cresce di volume, così come cresce di volume il consenso di chi, al contrario, ha trovato interessante e suggestivo l'allestimento. Che le cose sarebbero andate così lo si è capito fin dall'inizio. Il prologo, con il ballo al matrimonio dei due protagonisti e l'incidente stradale nel quale Euridice perde la vita, era stato accolto con quel serpeggiante mormorio di sorpresa e stupore, che da tempo non si sentiva più alle prime. Buon segno: lo spettacolo avrebbe viaggiato su binari inconsueti. In scena c'è una vera automobile, rovesciata, danneggiata. Le comparse sono pompieri all'opera per estrarre i corpi dalla carcassa. David Alagna affronta il tema della morte senza infingimenti, e in scena troviamo un vero cimitero, vere bare, vere tombe, e un'auto nera a fare da carro funebre. Così, sebbene il primo atto si chiuda con applausi di circostanza, i commenti nel foyer sono tutt'altro che freddi. D'altronde, Orfeo ed Euridice non è una fiaba, e nel mito è la morte ad avere la meglio. Alla ripresa, coerentemente, la discesa negli inferi comincia in un obitorio: una guida, vestita come il Morpheus del film «Matrix», conduce Orfeo in un aldilà algido, dove i defunti sono sospesi in aria in un'atmosfera di ghiaccio. Il ritrovamento di Euridice, il cui corpo, avvolto in un enorme sudario di tulle bianco, cala dall'alto, completa la scena. Il pubblico reagisce ancora, perché Euridice cerca di far ingelosire Orfeo trascinando la sua guida dentro l'auto/carro funebre in un esplicito amplesso. Orfeo cede, rompe il giuramento agli dei, Euridice torna a morire. A lui non resta che cantare l'amore perduto. Alla fine della celebre aria il teatro risponde con un applauso sincero, contrappuntato da un solitario contestatore («Bravo Alfredo», in risposta a un entusiasta «Bravo Orfeo!»). Niente happy end. Come il primo atto si era chiuso con il funerale di Euridice, così il buio il sala arriva con quello di Orfeo, sepolto accanto all'amata.

Orphée et Eurydice
La scena del funerale in "Orphée et Eurydice"


Da La Repubblica del 10.01.2008 -  Cronaca Bologna,   pag. VII

Comunale, un Orfeo contestato
Debutto col pubblico diviso su allestimento e regia choc dell'opera

«Orphée et Eurydice», il nuovo allestimento dell'opera di Gluck andato in scena l'altra sera al Comunale, curato dai fratelli Alagna, David e Frédèrico dietro le quinte e Roberto protagonista in palcoscenico, ha diviso il pubblico e scaldato gli animi. I dissensi, nel finale particolarmente sonori, sono giunti dai palchi e all'indirizzo del regista, cui è stata contestata la crudezza di alcune scene (l'incidente d'auto in cui muore Euridice, l'obitorio nel quale Orfeo ne va a cercare il corpo). Altrettanto sonori però sono stati i consensi. «Credo che Gluck sarebbe rimasto soddisfatto della serata», ha commentato Marco Tutino.


Da La Repubblica del 10.01.2008 -  Cronaca Bologna,   pag. I

L'amore e la morte non sono una favola
Una scossa al lungo torpore dei melomani delle "prime"

FABRIZIO FESTA

Non sappiamo se tra gli obiettivi di David Alagna, regista dell'opera di Gluck, "Orphée et Eurydice" e del sovrintendente e direttore artistico del Teatro Comunale, Marco Tutino, ci fosse quello di svegliare dal suo lungo torpore il pubblico dei melomani delle "prime" bolognesi. Certamente, confessato o meno che fosse tale scopo, lo hanno raggiunto. A memoria si fa fatica a ricordare una serata dove andare all'opera non sia stato il modesto rito di una mondanità tendente al provinciale, ma un'occasione per mettere in moto le cellule grigie. Che sia piaciuto o meno, l'Orfeo dei fratelli Alagna (Roberto cantante, David regista e Frédèrico scenografo), poco importa.


Da La Repubblica del 08.01.2008 -  Cronaca Bologna,   pag. X

Orphee et Eurydice
I PROTAGONISTI: I cantanti Roberto Alagna (Orfeo) e Serena Gamberoni (Euridice)


LA PRIMA
E nel Gluck di Alagna il mito muore in auto
Stasera al Comunale l'opera è ambientata ai tempi d'oggi

FABRIZIO FESTA

EURIDICE muore in un incidente stradale, subito dopo le nozze con Orfeo. E l'inferno nel quale discende il più famoso cantore della storia non è tutto fuoco e fiamme. Al contrario, con un palese riferimento dantesco, è gelato, freddo, bianco. Negli inferi Orfeo scende, peraltro, accompagnato da una guida, ancora un richiamo dantesco, che ha preso il posto di Amore. Ma sarà tutto inutile: Euridice non risorge ed Orfeo si lascia morire al suo fianco. Questi i cambiamenti più evidenti, che il pubblico scoprirà nel nuovo allestimento dell'Orphée et Eurydice di Gluck, che il Teatro Comunale porta in scena stasera (ore 20.30). Questa coproduzione con l'Opéra National di Montpellier, è stata affidata a David e Frédèrico Alagna per la regia e la scenografia (mentre i costumi sono di Carla Teti e Aldo Solbiati cura le luci), che hanno scelto di affrontare il capolavoro gluckiano in una maniera filologicamente innovativa. E non è un ossimoro. Ai tempi di Gluck, e fin quasi ai nostri giorni, i rimaneggiamenti nell'opera non erano certo un'eccezione. D'altro canto, la convenzione settecentesca (già inaugurata in verità più di un secolo prima con l'Euridice di Jacopo Peri), che imponeva il lieto fine al tragico amore di Orfeo, oggi appare particolarmente ossidata. Dunque, i due Alagna, inventandosi un prologo, con la collaborazione di Giampaolo Bisanti, al suo debutto sul podio bolognese alla testa di Orchestra e Coro della Fondazione di Largo Respighi, e cambiando il finale hanno agito come avrebbe agito un impresario di altri tempi ed insieme hanno riavvicinato, almeno nelle intenzioni, al pubblico dei nostri giorni tanto il mito, quanto la partitura gluckiana. Una partitura, del resto, più volte rivista dal suo autore e non solo. Tali cambiamenti troveranno anche un corrispettivo vocale, tanto più che il protagonista sarà Roberto Alagna (fratello di David e Frédérico) al suo fianco in scena il soprano Serena Gamberoni (Euridice) ed il baritono Marcel tenore tra i più affermati, Roberto Alagna possiede una voce importante, lontana da quel timbro controtenorile per cui la parte di Orfeo era stata pensata. Gli Alagna si richiamano ad un precedente: la versione realizzata da Paul Vidal, e che ebbe come interprete Léopold Simoneau, tenore lirico canadese, particolarmente apprezzato nel repertorio francese.


Da La Repubblica del 08.01.2008 -  Cronaca Bologna,   pag. X

Debuttano sabato nel capolavoro di Gluck i primi tre artisti usciti dal progetto del Comunale
Quei giovin cantanti per l'Orfeo formati alla Scuola dell'Opera
Il tenore Paolo Fanale, il soprano Eleonora Cilli e il baritono Filippo Bettoschi Tutino: i sostenitori privati hanno compreso il nostro slogan 'adotta un talento'

FABRIZIO FESTA

«Troppo è il distacco tra il Conservatorio ed il teatro», potremmo sintetizzare con quest'affermazione del baritono Filippo Bettoschi, la ragione prima della Scuola dell'Opera Italiana, il progetto formativo su cui punta il Teatro Comunale. Bettoschi, e con lui il tenore Paolo Fanale ed il soprano Eleonora Cilli, costituiscono la speciale seconda compagnia, che la Fondazione di Largo Respighi metterà in campo per Orphée et Eurydice in scena da stasera. Speciale perché, oltre ad essere tutti al debutto, sabato, sul palcoscenico bolognese, costituisce un'avanguardia: sono i primi ad essersi formati alla nascente Scuola dell'Opera Italiana. E ne hanno colto lo spirito: «Purtroppo - puntualizza il baritono - in Conservatorio non s'impara la professione, e, dal punto di vista della formazione attoriale, in Italia siamo molto indietro. Di conseguenza, una scuola che sia, sul e in campo, non può che essere la benvenuta: si tratta di una formazione diretta, che aiuterà a formare anche il pubblico». In campo ovvero all'interno del Comunale, dove gli allievi si cimentano con la professione, sia attraverso l'insegnamento (tra i docenti c'è Massimiliano Caldi, che dirigerà il loro debutto), sia nel confronto con gli altri artisti (dai cantanti al regista), che come loro partecipano alle produzioni. Dal Teatro gli fa eco il sovrintendente Marco Tutino: «La città ha risposto bene, i sostenitori privati hanno compreso, attraverso lo slogan "adotta un talento", il senso della nostra operazione: una Scuola che nasce dalla consapevolezza del dover valorizzare quella tradizione di arte e professionalità, che è il nostro teatro lirico. Da qui la necessità di chiamare tutti a collaborare, dagli atenei ai conservatori, dai grandi cantanti (voci come quelle di Raina Kabaivanka o Carlo Bergonzi) che abitano in regione, fino al personale del nostro Teatro. Senza dimenticare che, dovendo i cantanti recitare, era necessario coinvolgere anche chi si occupa di prosa, come l'Arena del Sole o il Teatro Due di Parma». Il primo corso a partire è stato quello per cantanti, che vedrà impegnati gli allievi altre tre volte: il 22 di questo mese nell'opera di Alberto Cara «Il colore di Cenerentola», poi a febbraio nella Lucia di Lammermoor e a Maggio in Norma. Quando la scuola sarà a pieno regime (dal prossimo ottobre), coprirà tutte le professionalità coinvolte nella vita del teatro, dalla sartoria alla direzione d'orchestra, le disponibilità dei posti diversificate a seconda della specializzazione. Gli allievi potranno accedervi attraverso una bando di selezione internazionale, pubblicato a marzo. «E' un buon inizio». Sulla stessa lunghezza d'onda è anche Eleonora Cilli. «Lavorare all'interno di un teatro lirico così importante, oltre al piacere ed all'onore, ci ha dato la possibilità di confrontarci con la realtà del nostro lavoro. Del resto, vedere in azione artisti come Roberto Alagna e Marc Barrard è stata la vera scuola». Nel segno dell'emozione più genuina. E come potrebbe essere altrimenti. «Emozionata e contenta» precisa Eleonora: «Quando canto mi sento felice. In scena mi sento viva, vera: è questo il regalo che mi fa la musica».

Ultimo aggiornamento effettuato il 24-gen-2008

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