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Da La Repubblica del 22.03.2000 - Spettacoli pag. 49 Salome e la danza delle sette nane
BOLOGNA - Questa Salome l'avevamo vista
sedici anni fa a Reggio Emilia. Pierluigi Pizzi vi coglieva uno dei suoi
spettacoli più intriganti. Un grande globo bianco occupa la scena e intorno
corrono anelli neri in vertiginoso declivio. Sopra c'è una terribile luna
di bronzo. Bulbo oculare di una tragedia di ossessioni visive o pianeta
sperduto di una passionalità disumana che sia, la scena coglie alcuni
aspetti essenziali dell'opera di Strauss-Wilde: il desiderio che si alimenta
con la visione, l'enormità di quel desiderio e la perniciosità di quel
mondo disumano dove nessuno è certo di potersi reggere in piedi, ossia
l'attrazione dell'abisso. Non coglie invece e anzi trascura l'estetismo
dell'opera, l'irripetibile decadenza della partitura che all'inizio del
Novecento trasformava Wagner in Beardsley. Ma questa decadenza l'abbiamo
vista altre volte, una volta tanto possiamo farne a meno. Pizzi toglie
tutto ciò che nella sua visione astratta e tagliente non c'entra, suppellettili
e arredi, piante, gioielli e persino esseri umani, accontentandosi degli
indispensabili soldati. E va benissimo, ci concentriamo anche noi sull'allucinante
storia di perversione. Ci toglie anche, però, e non per colpa sua, la
danza dei sette veli che, grazie all'indisponibilità al moto della protagonista
si trasforma in una passeggiata di sette nane: sette bambine che nell'inerzia
coreografica di Luca Veggetti si assumono la responsabilità di agitare
un velo. Questa scena, il momento meno luminoso della partitura, e lunghissimo,
è sempre difficile per gli allestimenti, ma un'assenza così clamorosa
di idee coreografiche non l'avevamo mai vista. |
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Ultimo aggiornamento effettuato il 08-gen-2008 |